Benvenut💀 al tuo Appuntamento con la morte, la newsletter che parla di morte dal punto di vista scientifico.
Durante l’ultimo Appuntamento abbiamo parlato degli albori del forno crematorio moderno mentre oggi vi racconterò degli esperimenti che hanno portato a formulare la prima ricetta per una cremazione perfetta.
Buona lettura,
Sofia @lamedicinageniale
La ricetta per la crema(zione) perfetta
La cremazione come rituale funebre è stata documentata, in Europa, a partire dal Neolitico ed è rimasta in uso fino all’avvento del cattolicesimo. Con l’editto di Tessalonica del 380 d.C., infatti, l’imperatore Teodosio l’ha messa al bando perché considerata una pratica pagana. Dal VII fino al XVIII secolo non si sono più effettuate cremazioni se non come forma di punizione post mortale— riservata in genere a streghe, eretici e criminali — o come metodo per eliminare velocemente un’enorme quantità di cadaveri infetti durante le epidemie come quella di peste che ha colpito Napoli nel 1656.
Dopo questa lunga fase di rifiuto, nel XIX secolo si è sviluppato in Italia, e diffuso poi in altri paesi europei, un animato movimento cremazionista, ispirato dal positivismo, che mirava a riscoprire la cremazione per risolvere problemi di ordine pratico. I cremazionisti, infatti, sostenevano che potesse essere la soluzione per ridurre il diffondersi delle epidemie e al contempo facilitare la sepoltura nei cimiteri che, proprio a causa del lungo divieto alla cremazione imposto dalla religione cattolica, erano diventati sovraffollati di tombe.
Il movimento cremazionista si è particolarmente vivacizzato dopo il rituale di cremazione del poeta inglese Percy Bysshe Shelley, marito della nota scrittrice di Frankenstein. Nel 1822 Shelley muore annegato durante la traversata in barca tra la Liguria e Toscana, e il suo corpo, recuperato dopo alcuni giorni nel mare di Viareggio, è stato cremato in quella che è considerata la prima cremazione dell’epoca moderna.
Il corpo di Shelley, però, è stato dato alle fiamme all’aperto, su una pira funebre, con un rito che si ispirava a quello di epoca romana e non con una cremazione moderna nel forno crematorio che, come vi ho raccontato nella scorsa newsletter, è stata eseguita per la prima volta nel 1876.
Nonostante questo evento storico abbia alimentato il movimento cremazionista, i suoi seguaci si resero presto conto che il metodo utilizzato sul corpo di Shelley non era sostenibile su larga scala. Per questo si impegnarono a promuovere leggi in favore della cremazione e a finanziare gli scienziati dell’epoca e le istituzioni competenti perché sviluppassero un metodo veloce, economico e sostenibile per ridurre il numero delle inumazioni.
I primi esperimenti di cremazione moderna
I principi sui quali si basano i forni crematori odierni sono gli stessi sui quali si basava il forno Lodigiano inventato alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento dallo scienziato Paolo Gorini, considerato “l’inventore del forno crematorio moderno”. Principi che a loro volta derivavano dagli studi di Lodovico Brunetti, il primo scienziato italiano che si è dedicato, già a partire dal 1869, alla ricerca degli effetti del fuoco sul corpo umano producendo anche un primo prototipo di forno crematorio.
I risultati di una cremazione all’aperto con pire funebri non sono prevedibili, infatti, possono essere influenzati dal materiale usato come combustibile, dalla temperatura raggiunta, dalle condizioni ambientali e dalle caratteristiche del cadavere stesso. Può capitare quindi che il corpo non venga incenerito totalmente e che alla fine della combustione si possano trovare ancora residui di tessuti molli e, ovviamente, di ossa.
È proprio questa imprevedibilità che ha spinto questo signore qui a studiare un metodo che potesse standardizzare quanto più possibile i risultati della procedura.
Dopo aver studiato le cremazioni di epoca romana, tra il 1869 e il 1870 ha compiuto diversi esperimenti su corpi umani interi e su parti di corpi. Lo scopo era quello di individuare le condizioni ottimali per ottenere un incenerimento totale del corpo senza che rimanessero i pezzi grossolani di ossa o addirittura le ossa intere che aveva notato tra i resti archeologici delle cremazioni romane.
Per il primo esperimento è stato selezionato il corpo di una donna di 35 anni morta per una polmonite acuta. Brunetti l’ha osservato bruciare in quello che era suo il primissimo prototipo di forno crematorio: una specie di vasca coperta da pareti di lamiera modellate a volta in modo che il fuoco venisse convogliato tutto sul corpo e il calore non si disperdesse troppo.
Brunetti considerò il risultato fallimentare perché, pur essendo riuscito a ridurre il peso del corpo al 4,8% del totale, le ossa erano rimaste. Ha pure provato a cuocerle a parte a 900° C ma senza i risultati sperati.
Nella seconda cremazione, il corpo era quello di un uomo di 45 anni morto di tubercolosi polmonare. Siccome Brunetti voleva sperimentare il suo nuovissimo modello di forno multipiano, tagliò il corpo in diverse parti per posizionarle sui diversi piani.
Nonostante 3 ore di cremazione e altre 7 ore di cottura a parte, stavolta a 300° C, anche la seconda volta non è riuscito a far bruciare le ossa del tutto.
Compie quindi ulteriori esperimenti utilizzando solo parti di corpi, bruciandoli a varie temperature nei diversi prototipi di forno crematorio da lui creati arrivando alla conclusione che le ossa non bruciano mai completamente e che, se si vuole ottenere un incenerimento del corpo totale, il fuoco non è sufficiente.
Quelle che oggi vengono comunemente chiamate “ceneri” sono, infatti, polveri di ossa. Nella cremazione moderna tutti i tessuti molli vengono bruciati, insieme alla componente organica delle ossa. Quello che resta - e che viene consegnato alle famiglie nelle urne cinerarie - è polvere derivata dalla componente inorganica delle ossa, che non brucia, costituita principalmente di fosfato e carbonato di calcio, e creata per mezzo di un cremulator, un macchinario polverizzatore di ossa (del quale vi avevo già parlato nella newsletter sull’acquamazione).
Le ceneri prodotte dalla cremazione non sono vere e proprie ceneri ma ossa polverizzate.
La ricetta per la cremazione di Brunetti
Dopo aver realizzato questa deludente verità e aver raccolto informazioni sulle migliori temperature e tempistiche di cottura, Brunetti decide di creare la ricetta del suo forno crematorio ideale:
Fai una base rettangolare di mattoni comuni. Crea quattro piccole aperture sui lati lunghi e due più grandi sui lati corti che ti permettono, grazie al gioco di apertura e chiusura delle stesse, di gestire meglio il fuoco all’interno. Usa una lamiera di metallo per supportare il corpo all’interno del forno. Riempi la base del forno con 70/80 Kg di legna equamente distribuita sotto la lamiera. Inserisci la salma. Fissa il corpo con dei fili metallici per essere sicuro che non si muova e danneggi la struttura del forno. Poi accendi e cuoci tutto per 4 ore a circa 900°C. Otterrai un insieme di piccoli frammenti ossei calcificati del peso di circa il 3% del cadavere.
Il forno così creato da Brunetti è stato presentato all’Esposizione Universale di Vienna nel 1873 dove aveva ottenuto giustamente grande interesse. Nel frattempo, i forni crematori sono diventati più efficienti e più sostenibili ma la ricetta di base che seguono i costruttori è ancora quella di Brunetti.
- La newsletter continua dopo la bibliografia -
Bibliografia
Magno G, et al. Lodovico Brunetti, the Unknown Father of Modern Crematorium. Omega - Journal of Death and Dying (2021)
Schmidt CV, Symes SA. The Analysis of Burned Human Remains. Eselvier (2015)
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