#26 - Cercare i morti per confortare i vivi
Sulla ricerca delle fosse comuni a 30 anni dal Genocidio del Ruanda
Benvenut💀 al tuo Appuntamento con la morte, la newsletter settimanale che parla di morte dal punto di vista scientifico.
L’ultimo è stato con il fenomeno di Lazzaro, la resurrezione dei comuni mortali. Quello di oggi è con il destino dei corpi delle persone morte durante il genocidio del Ruanda.
Buona lettura,
Sofia @lamedicinageniale
Cercare i morti per confortare i vivi
Tra pochi giorni, il 7 aprile, per gli abitanti del Rwanda inizia il Kwibuka (memoria, in kinyarwanda), un periodo di 100 giorni (7 aprile-15 luglio) durante il quale ogni anno si ricordano le vittime del genocidio avvenuto nel 1994. Quest’anno ricorrono quindi i 30 anni dall’inizio di uno dei più brutali massacri del Novecento dopo la Shoah.
La data di inizio del genocidio del Ruanda viene fatta coincidere con il 6 aprile 1994, data dell’attentato al presidente hutu Juvenal Habyarimana. È stato il pretesto che gli hutu hanno sfruttato per scatenare la furia omicida contro i tutsi, accusati di essere i mandanti dell’attentato e meritevoli dunque di essere sterminati.
Il genocidio dei tutsi da parte degli hutu è stato considerato a lungo dall’Occidente uno “scontro tra selvaggi” o una “guerra tra tribù nemiche” ma la storia è molto più complessa di così e affonda le sue radici nell’epoca colonialista. Se volete approfondire la storia recente del Ruanda e l’escalation di eventi che ha portato alla carneficina del 1994 vi lascerò nella rubrica Interessanti da morire qualche suggerimento di lettura, ascolto e visione.
I massacri e le fosse comuni
Le vittime del genocidio sono attestate tra le 800.000 e oltre 1 milione. Si tratta principalmente di persone considerate di etnia tutsi — “gli scarafaggi” — o hutu moderate che non hanno voluto partecipare come carnefici al massacro dei loro concittadini.
Gli omicidi sono avvenuti costantemente durante i 100 giorni del genocidio ma ci sono stati grandi massacri di massa in diversi punti del paese, principalmente all’interno delle chiese dove le persone cercavano di rifugiarsi sperando che un luogo sacro potesse proteggerle dalla violenza. I massacri più brutali hanno visto l’uccisione a colpi di machete di decina di migliaia di donne, uomini, bambini e anziani nell’arco di una sola giornata.
In questi luoghi spesso gli abitanti delle zone limitrofe hanno scavato delle fosse comuni dove seppellire in fretta un numero altissimo di cadaveri per evitare la proliferazione di eventuali infezioni e lo spargersi dell’odore di decomposizione che avrebbe attirato gli animali. Altre fosse comuni sono create dagli stessi carnefici per nascondere le prove degli omicidi.
Alla fine del genocidio è stato istituito il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) allo scopo di perseguire i criminali che hanno ucciso e supportato l’uccisione di circa 1 milione di ruandesi. L’ICTR ha dato mandato a squadre di archeologi, antropologi e patologi forensi di individuare le fosse comuni, recuperare i corpi, attestare il numero delle vittime e la causa di morte come prove materiali a sostegno delle testimonianze che incriminavano i mandanti dei massacri.
Nella newsletter Cosa ci raccontano le ossa vi raccontavo come sono state individuate le fosse comuni, come sono stati recuperati e identificati i cadaveri, e quali sono state le principali cause di morte delle persone esumate attestate dagli esperti nominati dall’ICTR.
Oggi invece vorrei approfondire i motivi per i quali è importante recuperare i corpi dopo i massacri come questo e perché le esumazioni possono anche diventare uno strumento politico.
La ricerca delle fosse comuni
A distanza di 30 anni dal genocidio i ruandesi stanno ancora cercando le fosse comuni. Non si sa di preciso quanti corpi manchino all’appello ma solo negli ultimi 5 anni ne sono stati ritrovati circa 100.000. La maggior pare delle volte le fosse vengono trovate su segnalazione di qualche superstite o qualche pentito oppure per caso, per esempio duranti gli scavi per la costruzione di nuovi edifici o nuove strade.
È del 25 gennaio di quest’anno la notizia dell’ultimo ritrovamento di una fossa comune. A ottobre, un informatore aveva fatto una soffiata alle autorità, rivelando la presenza di una possibile sepoltura di massa alle fondamenta della casa di una famiglia nella città di Ngoma. In effetti la fossa era presente e conteneva 119 corpi. Cinque membri della famiglia che vivevano nella proprietà sono stati arrestati con il sospetto di aver preso parte al genocidio e centinaia di esumatori volontari, ruandesi che da anni si occupano di cercare e recuperare i corpi dei loro parenti, amici e concittadini, sono arrivati a Ngoma per aiutare nell’esumazione.
Perché recuperare i corpi dalle fosse comuni
I motivi sono diversi e riguardano quasi tutti i sopravvissuti. C’è il tema principale dell’elaborazione del lutto e della salute mentale ma anche quelli economici e burocratici:
Innanzitutto ritrovare i corpi dei propri cari mette fine all’ambigous loss, quella mancanza che si prova quando c’è la sicurezza che il proprio caro sia morto perché non si fa vivo da decenni che però spesso vacilla perché non si è visto il cadavere con i propri occhi,
Ritrovare il corpo significa anche poterlo seppellire secondo le proprie usanze e volontà. Sapere che una persona cara ha avuto una degna sepoltura e non giace come un numero in una fossa con altre migliaia di persone sconosciute aiuta a fare passi avanti nell’elaborazione del lutto,
Ci sono poi problematiche pratiche da affrontare: per esempio, non trovare il corpo del marito può significare non poter procedere con la successione dell’eredità, quindi non avere soldi per mantenere i propri figli. Non trovare i corpi dei genitori può voler dire non avere accesso all’eredità ma anche alle pratiche di adozione o di espatrio in caso esistano membri della famiglia all’estero disposti ad accogliere i figli dei loro parenti.
Queste sono le principali motivazioni che spingono i sopravvissuti al genocidio a unirsi in gruppi di volontari per la ricerca delle fosse comuni. Nonostante ci sia ancora l’intento di testimoniare, per mezzo del ritrovamento dei corpi, gli omicidi avvenuti e incastrare gli assassini, questo scopo è scemato nel tempo.
Nei primi anni dopo la fine del genocidio fare giustizia era il motivo principale che ha spinto le autorità a finanziare le ricerche e ad aiutare il gruppo di esperti forensi nominato dall’ICTR. I corpi ritrovati, la loro età, il loro sesso biologico, la loro identità e la causa di morte erano tutte prove contro gli hutu che avevano massacrato a colpi di machete centinaia di bambini, donne e anziani indifesi. Prove che potevano essere utilizzate nei processi di Arusha.
Quando però i processi hanno iniziato a diradarsi, per le autorità ruandesi lo scopo dell’identificazione personale e delle cause di morte è venuto meno. Governo, università e musei hanno preferito dedicarsi alla conservazione dei resti umani ritrovati piuttosto che all’identificazione. Il tema principale è diventato la formazione della memoria collettiva per mezzo dell’esposizione dei corpi nei memoriali del genocidio sparsi per il paese.
Nei casi in cui, però, i cadaveri vengano esposti come hanno fatto le istituzioni ruandesi, soprattutto se la tradizione funebre locale non lo prevede, c’è sempre all’orizzonte il tema della necropolitica. I governi infatti spesso sfruttano i morti per mandare messaggi politici, come sta succedendo in Israele o con i naufraghi del Mediterraneo. Nascondono o espongono più del dovuto le morti per non perdere consensi, per non destabilizzare equilibri geopolitici, per non perdere alleati o per tenere a bada gli avversari. Un tema importante che vale la pena approfondire, purtroppo non in questa sede dato che non è propriamente il mio campo di competenza. Ma se ve la sentite di ampliare il discorso i commenti pubblici sono tutti vostri!
- La newsletter continua dopo la bibliografia -
Bibliografia
Koff C. La memoria delle ossa. Sperling & Kupfer Editori (2006)
Anstett E, et al. Human Remains and Identification: Mass Violence, Genocide, and the forensic Turn. Manchester Univ Pr (2017)
Interessanti da morire
👉🏻 3 COSE CHE HO VISTO, LETTO, FATTO, ASCOLTATO QUESTA SETTIMANA
🎤 UN PODCAST. Un popolo che viene sterminato, noi e le nostre democrazie che ci giriamo dall’altra parte, i media che fanno propaganda in favore dello sterminatore: sono gli ingredienti per un genocidio. In Istruzioni per un genocidio Daniele Scaglione, autore del saggio omonimo, parla del genocidio del Ruanda ma racconta una storia che si sta ripetendo a soli 30 anni da quell’orrore.
🎬 UN FILM. Accadde in aprile è la storia di due fratelli dalla parte opposta della barricata durante il 1994: un hutu che decide di uccidere e l’altro che decide di resistere diventando un “traditore degli hutu” e per questo subirà le tragiche conseguenze della sua scelta. Nel 2004, dopo 10 anni, si incontrano di nuovo durante i processi Tribunale penale internazionale per il Ruanda e questo incontro sarà l’occasione per ripercorrere gli eventi del genocidio.
📚 UN LIBRO. Una delle recensioni meno azzeccate su Amazon lo descrive come un “romanzo avvincente”. La ragazza che sorrideva perline è un memoir con il quale Clemantine Wamariya descrivere la sua esperienza da sopravvissuta al genocidio a soli 6 anni, insieme alla sorella. Insieme saranno sballottate in diversi campi profughi in giro per l’Africa e insieme, solo dopo quasi un decennio, otterranno l’asilo politico in USA dove, solo allora, si renderanno conto della tragedia delle quali sono state testimoni.
Che mi prenda un colpo
👉🏻 ARTICOLI (e altri contenuti) DELLA SETTIMANA SU VITA, MORTE E D’INTORNI
La storia di Guy Alexandre, il pioniere dei trapianti che ha ridefinito la morte.
C’è chi pensa che possiamo vivere fino a massimo 120 anni. Io spero di non arrivarci.
Papa Francesco non vuole essere esposto sul catafalco come gli altri papi. Ne parla la funeral planner Lisa Martignetti ovvero @laragazzadeicimiteri.
La biblioteca di Harvard ha rimosso la copertina in pelle umana di un libro
Cosa si potrebbe fare per contrastare i suicidi in carcere?
[In inglese] Cos’hanno scoperto finora i gruppi di ricerca che investigano sulle esperienze pre-morte.
Morire dal ridere
PER CONCLUDERE L’APPUNTAMENTO CON UNA RISATA
Ti è piaciuto questo Appuntamento con la morte?
Se vuoi farmi sapere cosa ne pensi o se hai domande, suggerimenti sui temi da trattare, consigli per le rubriche e/o commenti di ogni tipo puoi contattarmi su Instagram, Threads, TikTok o rispondere direttamente a questa e-mail.
Se vuoi supportare il mio progetto, invece, puoi attivare un abbonamento a pagamento (costa come un caffè a settimana), offrirmi un cappuccino virtuale una tantum su Ko-fi o regalarmi un libro dalla mia infinita wishlist.
I link ai libri di questa newsletter sono affiliati ad Amazon. Se comprate su Amazon passando dai miei link potrete sostenere Appuntamento con la morte con una piccola percentuale del vostro acquisto senza costi aggiuntivi.