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Buona lettura,
Cosa ci raccontano le ossa
Il 15 luglio per i ruandesi è la fine del Kwibuka (memoria, in kinyarwanda), un periodo di 100 giorni (6 aprile-15 luglio) durante il quale ogni anno si ricordano le vittime del genocidio avvenuto nel 1994.
La data di inizio del genocidio del Ruanda viene fatta coincidere con il 6 aprile 1994, data dell’attentato al presidente hutu Juvenal Habyarimana. È stato il pretesto per gli hutu per scatenare la furia omicida contro i tutsi, accusati in toto di essere i mandanti dell’attentato e meritevoli dunque di essere sterminati.
Il genocidio dei tutsi da parte degli hutu è stato considerato a lungo dall’Occidente uno “scontro tra selvaggi” o una “guerra tra tribù nemiche” ma la storia è molto più complessa di così e affonda le sue radici nell’epoca colonialista. Se volete approfondire la storia recente del Ruanda e l’escalation di eventi che ha portato alla carneficina del 1994 vi lascerò alla fine qualche suggerimento di lettura, ascolto e visione.
I massacri e le fosse comuni
Le vittime del genocidio sono attestate tra le 800.000 e oltre 1 milione. Si tratta principalmente di persone considerate di etnia tutsi o hutu moderate che non hanno voluto partecipare come carnefici al massacro dei loro concittadini.
Gli omicidi sono avvenuti costantemente durante i 100 giorni del genocidio ma ci sono stati alcuni massari di massa in diversi punti del paese, principalmente all’interno delle chiese dove le persone cercavano di rifugiarsi sperando che un luogo sacro potesse proteggerle dalla violenza. I massacri più brutali hanno visto l’uccisione a colpi di machete di decine di migliaia di donne, uomini, bambini e anziani nell’arco di una sola giornata.
In questi luoghi spesso gli abitanti delle zone limitrofe hanno scavato delle fosse comuni per poter seppellire in fretta un numero così alto di cadaveri per evitare la proliferazione delle infezioni e lo spargersi dell’odore di decomposizione che avrebbe attirato gli animali.
Alla fine del genocidio, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) ha dato mandato a squadre di archeologi, antropologi e patologi forensi di individuare le fosse comuni, recuperare i corpi, attestare il numero delle vittime e la causa di morte come prove materiali a sostegno delle testimonianze che incriminavano i mandanti dei massacri.
Come si recuperano e identificano i corpi delle fosse comuni
Il primo e fondamentale passaggio è quello di individuare il luogo preciso della fossa. In Ruanda si conosceva la maggior parte delle ubicazioni delle fosse comuni proprio perché erano state create dagli stessi cittadini ma per gli archeologi forensi che si occupano della fase preliminare al recupero dei corpi è importante delimitare l’area con estrema precisione per evitare di danneggiare corpi ed eventuali altre prove sottostanti durante lo scavo.
Una volta individuata la fossa comune gli archeologi iniziano a scavare con perizia per liberare i corpi. In questa fase si fanno anche foto per documentare la posizione del corpo e la presenza di indumenti, oggetti e altre cose che possono aiutare gli antropologi forensi durante la fase di identificazione.
A seconda del tempo di sepoltura, della tipologia di terreno, del clima della zona e altre variabili, quando si scava una fossa comune si possono trovare diversi scenari:
Ci possono essere corpi ancora intatti ben distinguibili l’uno dall’altro: è più facile che i corpi in superficie siano scheletrizzati o mummificati mentre quelli più in profondità mantengono i tessuti molli più a lungo. Questa è una delle situazioni più semplici perché si esumano i corpi e si procedere con l’autopsia o l’esame antropologico per cercare di identificare il cadavere e capire la causa di morte.
Si possono trovare solo corpi scheletrizzati nei quali le ossa sono rimaste articolate del tutto o in parte. In questo caso, grazie anche all’aiuto di eventuali oggetti, indumenti, documenti, si può ancora procedere all’identificazione personale e all’individuazione della causa di morte.
I resti possono essere commisti quando le ossa sono disarticolate tra loro e mescolate. In questo caso è importante individuare il numero minimo di individui sepolti a seconda del numero di ossa uguali presenti. Se per esempio trovo 5 omeri destri, 2 tibie sinistre e 3 crani posso dire che in quella fossa ci sono i resti di almeno 5 persone. Avendo il numero minimo si può cercare di ricostruire i corpi per arrivare, in casi molto più rari delle precedenti situazioni, all’identificazione e alla causa di morte.
Una volta recuperati i corpi dalla fossa entra in gioco il medico-legale (o patologo forense) per eseguire le autopsie sui corpi non ancora decomposti oppure l’antropologo forense per i corpi scheletrizzati.
Prendiamo il caso in cui il corpo è scheletrizzato e tutte le ossa trovate appartengono con certezza a esso. L’antropologo forense le dispone su un tavolo in posizione anatomica, le studia a occhio nudo e per mezzo delle immagini strumentali (Rx, TC), quando disponibili, e ricava tantissime informazioni. Semplificando molto:
Dall’osservazione del cranio e del bacino si può individuare il sesso.
I denti e le ossa lunghe sono utili per l’età, soprattutto quella dei soggetti adolescenti e giovani adulti quando la fase di crescita non è ancora terminata.
La misurazione delle ossa lunghe permette anche di calcolare la statura dell’individuo.
Queste sono le informazioni di base che l’antropologo forense può carpire per l’identificazione personale. Ci sono poi dei segni particolari che possono essere molto importanti per trovare una corrispondenza con una persona ricercata: forma dei denti, fratture passate, deformazioni ossee, altre patologie che possono colpire le ossa o presenza di oggetti, indumenti e documenti sul sito del ritrovamento.
Oltre all’identificazione personale l’antropologo forense si occupa anche di ricercare lesioni sulle ossa che possono portare a chiarire la causa della morte. Le sue competenze permettono di distinguere, per esempio, una lesione da taglio inferta poco prima della morte da una vecchia di mesi o anni oppure una frattura avvenuta mentre il soggetto era ancora in vita rispetto a un osso rotto dopo la morte.
Le principali cause di morte delle vittime del genocidio
L’esamina delle ossa nelle fosse comuni trovate in Ruanda ha permesso di individuare alcune lesioni tipiche e di ricostruire le cause di morte più frequenti.
Sulla parte distale (vicina al piede) e posteriore delle tibie sono state riscontrate frequenti lesioni da taglio tipiche della recisione del tendine d’Achille. Non si tratta di ferite mortali ma suggeriscono che gli aggressori abbiano fermato la fuga delle vittime prima di ucciderle tanto che questi lesioni erano sempre accompagnate da un trauma mortale da corpo acuminato come un machete, l’arma simbolo del genocidio del Ruanda.
Sulle ossa degli avambracci (ulna e radio) e delle mani sono state trovate poche lesioni da taglio dalla parte del dorso, suggestive di un tentativo di difesa. Ciò significa che la maggior parte delle vittime è stata colta alla sprovvista senza possibilità di elaborare una forma di difesa.
In definitiva, la maggior parte delle vittime del genocidio è stata uccisa da colpi mortali alla testa e al collo sistematicamente inferti con i machete e più raramente con armi da fuoco o corpi contundenti.
👉🏻 Per ovvie ragioni di spazio quello che vi ho raccontato è una versione semplificata della storia e del lavoro del recupero e identificazione dei corpi. Approfondirò vari argomenti qui accennati in future newsletter ma, se nell’attesa volete farlo da soli, qui sotto vi consiglio qualche libro dal quale partire.
Bibliografia
Clea Koff. La memoria delle ossa. Sperling & Kupfer Editori (2006)
Peerwani N. The Role of a Forensic Pathologist in Armed Conflict. Academic Forensic Pathology (2017)
Interessanti da morire
Speciale genocidio del Ruanda
ROMANZI.
Rwanda. Murambi, il libro delle ossa di Boubacar B. Diop.
I libri di Scholastique Mukasonga, una delle pochissime autrici ruandesi tradotte in Italia. Con i suoi romanzi racconta la distruzione della cultura del suo paese durante l’epoca coloniale e la disintegrazione dell’identità di un popolo che è sfociata negli eventi del genocidio.
SAGGI sulla storia.
Rwanda - Istruzioni per un genocidio di Daniele Scaglione.
We Wish to Inform You That Tomorrow We Will Be Killed With Our Families di Philip Gourevitch. Tradotto in italiano con il titolo Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie purtroppo fuori catalogo e difficile da trovare se non in biblioteca.
SAGGI/MANUALI sull’antropologia forense.
La memoria delle ossa di Clea Koff. Memoir dell’antropologa forense che ha dato voce alle ossa dei genocidi del Ruanda e di Srebrenica. Purtroppo anche questo fuori catalogo ma più facile da recuperare.
Antropologia e Odontologia Forense - Guida allo studio dei resti umani di Cattaneo - Grandi. Un testo atlante per lo studio delle ossa.
Archeologia dei resti umani - Dallo scavo al laboratorio di Minozzi -Canci. Una “guida da campo” per archeologi e antropologi che hanno a che fare con i resti scheletrici umani.
UN PODCAST. Istruzioni per un genocidio è la versione ridotta e riadattata per l’audio del libro di Daniele Scaglione.
SERIE TV e FILM oltre al famoso Hotel Rwanda.
Black Earth Rising: una serie tv sul post-genocidio.
Accadde in aprile: due fratelli si trovano dai lati opposti della barricata durante il genocidio.
Gli alberi della pace: quattro donne di diversa origine e provenienza si trovano a condividere un o scantinato per cento giorni per sfuggire alle violenze.
Rwanda: basato su una storia vera di una coppia mista hutu-tutsi durante il genocidio. E’ l’adattamento cinematografico dello spettacolo teatrale omonimo di Marco Cortesi e Mara Moschini.
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